LA NUOVA GENERAZIONE DI PITTORI SULLA SCENA SOCIO-CULTURALE DEL PROPRIO QUARTIERE

Sta di fatto che, per essere completo nel tracciare la storia della “Scuola”  pittorica di Ponticelli, occorre tenere in debito conto  i valori di cultura popolare. Per questa ragione il criterio dell’arte  nel sociale è consistito in un peculiare indirizzo etico che si sono  dato, sia come proposta creativa artistica   come docenti  di ruolo nelle scuole medie del proprio territorio.In special modo, resta da citare un gran fatto: la prima Mostra d’arte sociale a Ponticelli, presentata dalla cartolibreria “G. Guerretta” volta:a proporre un’iniziativa pionieristica in una  zona ad altra concentrazione demografica.

Di sicuro in questa manifestazione si  deve ravvisare un’iniziativa pionieristica, nel proporre una sorte di manifestazione culturale  valida per coinvolgere larga fascia del popolo. Fin tanto che gli espositori hanno inteso testimoniare,e attraverso l’arte, un valido esempio di spirito associativo.E intanto per ragione di cronaca elenchiamo i nomi di tutti gli artisti presenti in questa rassegna: Carmine Adamo, Antonio Bove, Nicola Campanile, Pasquale Coppola, Pasquale Cocozza, Luigi Di Sarno, Giuseppe Guadagnino, ciro Migliaccio, Aniello Mantice, Gennaro Mautone, Cesare Napolitano, Pasquale Napolitano, Lorenzo Scolavino, Quintino Scolavino, Salvatore Rea, Ugo Riccardi, Ennio Trimarchi, Salvatore Marrazzo.

Ovvero, il fare arte nel quartiere Ponticelli, non doveva  essere fino a se stesso ma piuttosto  privilegiare il  luogo come i sperimentazione del  ” movimento dell’arte nel sociale”. Per questa ragione il principio dell’arte al servizio della collettività è consistito in un indirizzo etico che, le nuove generazioni di pittori ponticellesi si sono dato: sia come nuove proposte creative  in promo luogo come lavoro professionale, da docenti di Educazione artistica nelle scuole statale, medie inferiore o superiore del territorio.

Così, in linea di tutto quello che abbiamo detto, per il momento ci soffermeremo a declinare i nomi e  le relative incidenze artistico-culturale di ciascuno degli artisti locali presenti in questa rassegna: così partiamo dal più emblematico:. Pasquale Coppola. . Innanzitutto di lui occorre dire che l’iter formativo è quanto mai emblematico rispetto gli artisti  di Ponticelli. Incomincia a studiare presso l’Istituto d’Arte di Napoli fin dall’età preadolescenziale, frequentando nel corso inferiore la sezione Pittura, poi  le superiori fino a conseguire la Licenza. Dopo si specializza nel corso di Magistero conseguendo il titolo di  Maestro d’arte, fino a completare  la formazione artistico-culturale frequentando l’Accademia di BB AA  di Napoli, ottenendo il Diploma del corso di Pittura. Eppure, di siffatta maturazione professionale, conta molto di più l’epilogo: l’assegnazione del ruolo di docente per le Discipline Pittoriche presso l’Istituto Statale d’Arte “Palizzi” di  Napoli, lavoro che ha svolto per diversi anni, fino a raggiungere i limiti  d”età di pensione.

Fin qui, c’è da rilevare un importante aspetto delle storie dei pittori di Ponticelli: non si tratta d’indicare pittori emuli di Coppola, ma  piuttosto tener conto delle  variegate attività d’artista: ovverosia Aniello Mantice, Salvatore Rea e Antonio Bove. Questa volta non si tratta di una comune adesione ad una   tesi concettuale ma soprattutto tener conto di tre ben distinte personalità. La loro pittura è il frutto della propria e ben distinta formazione storico-critica. In quanto essi, consapevoli ai modi di concepire il mondo; pervengono, in un modo  ben  preciso di operare nel sociale. Fin tanto partecipandovi in un modo relativo  a territori ben più vasti da quello di Ponticelli.

Aniello  Mantice, diplomato presso l’Istituto  Statale d’Arte  di Napoli, dopo aver conseguita l’abilitazione all’insegnamento d’arte, si trasferisce in Germania a studiare incisione. Di conseguenza viene apprezzato per capacità grafica molto avanzata e addirittura un suo lavoro viene molto apprezzato dal celebre artista Marc Schagall. Dopo avendo esaurite le esperienze tecnico-estetiche in Germania, ritorna a Ponticelli, dedicandosi ad eseguire interessantissime opere grafiche. Partecipa a varie mostre collettive fino ad avere  ampio  successo presso i residenti collezionisti d’arte.Infine si trasferisce in Sardegna per dedicarsi all’insegnamento delle tecniche grafiche, fino a risiedervi  per tutta la vita.

Salvatore Rea, a sua volta, come  è ricorrente per i i pittori di  Ponticelli, si forma studiando presso l’Istituto  Statale  d’Arte di Napoli e completa la formazione studiando all’Accademia di BB AA di Napoli, al Corso di Pittura diretto dal prestigioso Maestro Emilio Notte. Rea come professione  è stato docente d’ Educazione artistica  presso la scuola  media  di Volla. Esercitando  uno specifico genere della pittura: lo sport  del calcio che come sportivo ha praticato con amore per tutta una vita.

Antonio Bove, come del resto gli  altri artisti  di Ponticelli, ha studiato presso l’Istituto Statale d’Arte di Napoli e completa  l’iter di formativo all’Accademia di BB AA di Napoli, Corso di Pittura ed avente come maestro il pittore  Emilio Notte.. Come pittore e docente di ruolo, d’ Educazione artistica è presente  nell’ambiente culturale a Ponticelli a partire dalla prima metà degli anni Sessanta.  .

Infine, per misurare la vitalità  del ruolo d’artista svolto dagli artisti nel nostro quartiere, basta osservare come  lo snodarsi di siffatte gratificanti  congiunture storica  la   vocazione  del pittore è stato quello di essere  socialmente impegnato.. Fin  tanto che, per loro, l’esperienza fatta, frequentando  la Casa del Popolo di Ponticelli e specificamente aver dato vita all’annesso Gruppo “Claudio Molinari”. Pervenendo, addirittura, in una forma pionieristica a concepire il valore unico della cultura popolare autoctona.. Persino  s’innesca un processo  volto a   rinnovare dal profondo il fare cultura, operando nell’ambito del territorio e in special modo nel quartiere Ponticelli, rifacendosi ai testi Gramsci, Adorno, Marcuse, Pasolini ed Jung come  ideologia di base.

Eppure in questo periodo, tutti i giovani impegnati nel gruppo “Molinari” traevano gli spunti operativi direttamente dai testi dei loro corrispettivi docenti universitari: Specialmente il giovane neolaureato: l’architetto Michele Isola Esposito, che pervenne a proporre il recupero del centro storico di Ponticelli come applicazione sistematica dei principi teorici elaborati dal professore Roberto Pane a riguardo il recupero e tutela dei beni architettonici ed ambientali. Intanto, si cominciò a definire  l’ambito del primitivo nucleo urbano di Ponticelli come bene culturale ancor di più tutto da definire: si pervenne ad espletare un prolifero piano di ricerca definito: “Ponticelli imprevisto” . Per questo i i giovani dell’associazione Molinari  ( pittori e fotografi ) furono antesignani di tutta una serie di ricerche visive  riguardante  l’immaginario collettivo, persino si pervennero alla scoperta di una singolare tipologia architettonica, la “casa a corte” , fin tanto che  l’operazione culturale da loro messa in atto consisté  nell’essere la più rigorosa ideologia a riguardo il recupero post terremoto dei beni storici urbanistico- architettonici del quartiere di Ponticelli.

Fino a questo punto è importante ravvisare che l’apertura al sociale connota specialmente la creatività dell’ ultima generazione d’artisti di Ponticelli: Vittorio Cortini, Antonio Picardi ed Umberto Manzo. Il loro indirizzo linguistico è una palesa dimostrazione dell’arte organica al territorio. In realtà il ruolo radicale viene assunto da Picardi, poiché dalla lezione di Renato Barisani perviene alla teoria minimalista  funzionale al ruolo da grafic-design, invalso nelle civiltà più avanzate del mondo. In tale ottica egli finisce ad assumere una funzione  specialmente avanzata,. Contribuendo al rinnovo della grafica a Ponticelli, fino a che lo porta ad affiancare le attività delle tipografie esistente sul territorio.

Vittorio Cortini,  a sua volta si pone a  gestire il nuovo ruolo  di rinnovare le stante formule riguardante il Carro della Madonna della Neve di Ponticelli: con tale spirito, partecipa al concorso per il  progetto della “veste” del Carro,dell’anno 1993.  In particolare quest’opera dal contenuto propriamente  sacro in un serrato dialogo con i fedeli astanti. Eppure, per lui  questo porsi in dialogo con la cultura locale non è stato tanto  facile, né  tranquillo E nel contempo questo evento dirompente  segna l’inizio di un processo di sperimentazione delle forme e del colore a riguarda la nota macchina da festa di Ponticelli.

In questo senso la peculiare creatività di Umberto Manzo rispetto il folklore religioso di Ponticelli andrebbe vista in una dimensione di gruppo, vuoi perché il progetto della decorazione esterna del Carro reca il contributo di altri due artisti locali, Vincenzo Rusciano e Antonio Picardi. Tuttavia la nozione del sacro è parte  della forza comunicativa dell’opera, progettata  e realizzata tecnicamente all’unisono  con riscontri, in termini di linguaggio, autenticamente avanzato.

.  In conclusione, occorre affermare che ci troviamo di fronte a una nuova generazione di “pittori” , che hanno  trovato oggi, nel sistema dell’immaginario popolare  e più in generale nella società globale, l’occasione buona per essere più coerenti al  modo  – giusto di concepire il mondo e la vita.

I PITTORI DI PONTICELLI DELLA GENERAZIONE TRA LE DUE GUERRE

Tutto sommato, per i maestri di questo terzo momento storico della pittura di Ponticelli – dagl’anni Venti a quelli Ottanta del Novecento – è stato farsi carico delle reale opportunità formative suggerite dagli artisti della generazione precedente. Piuttosto si e trattato di seguire le orme di maestri anteriori e nonché seguire i normale percorsi di studio presso il prestigioso Istituto d’Arte di Napoli. Ed in primo luogo, sono stati formati d’artisti molto affermati. Questo è tanto più vero che si potrebbe definire la loro formazione come una sorte di “iniziazione alle arti applicate” a dimensione  nazionale..
Infatti, tutto questo iter formativo dei giovani espiranti pittori è stato come aver dato risposta positiva alle attese delle corrispettive famiglie che, sostanzialmente, miravano per i propri figli una prestigiosa professione da pittore, tanto simile a quella dei maestri cosiddetti pittori decoratori.
A proposito di tutto, per dovere d’analisi storica, occorre ricordare quelli che sono stati i “mitici maestri” pittori decoratori di Ponticelli, ai quali va il civile merito d’aver trasmesso ai loro correlativi “garzoni” un notevole retaggio di nozioni tecniche pittoriche: Pasquale Piccolo detto tammurriello, Umberto Manzo e tanti altri anonimi “masti”.
Evidentemente, per i giovani di questa speciale generazione, non si è trattato soltanto di formazione professionale, ma soprattutto, avendo seguito interamente il corso degli studi scolastici a partire da quello inferiore a quello di magistero professionale, avranno acquisito una salda cultura, che come formazione di stile, effettivamente il “Novecento Italiano.
A dire il vero tale indirizzo linguistici è consistito in un interesse per i motivi classici e forme arcaizzanti, riallacciandosi alla pittura di Paul Cézanne . Eppure in una direzione opposta, si è sviluppato un criterio di “realismo” , che tende a recuperare le forme neoquattrocentesche. rifiutando, per questo, ogni riferimento alle analisi formale cubista e futurista.
Sostanzialmente, per questa nuova generazione di pittori di Ponticelli, fin da un primo momento, l’afflato “ritorno all’ordine” è consistito in un recupero del vedutismo locale: ovverosia guardare con occhio diverso i modi e le forme, volte a trasmettere elementi civili e religiosi del proprio quartiere, così come sono stati partecipati dai precedenti maestri, Piscettaro, Tammaro e Franciosa .

Sostanzialmente, per questa nuova generazione di pittori di Ponticelli, fin da un primo momento, l’afflato “ritorno all’ordine” è consistito in un recupero del vedutismo locale: ovverosia guardare con occhio diverso i modi e le forme, volte a trasmettere elementi civili e religiosi del proprio quartiere, così come sono stati partecipati dai precedenti maestri, Piscettaro, Tammaro e Franciosa .

Posta in tal modo, la ricerca operata dai pittori della terza generazione Carmine Adamo, Cesare Napolitano) e Ciro Migliaccio un primo momento è tutt’altro che operare in uno specifico genere della pittura: il paesaggio locale. Ovvero il tema che fin dall’inizio si saranno dato è stato quello d’indagare non solo sulla realtà fisica del luogo fatto di speciali spazi e volumi architettonici, ma piuttosto documentare la memoria del luogo come hic et nunc del vissuto storico.

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1, Carmine Adamo, Amalfi ( la Repubbliche Marinare ) 1952,
pannello decorativo del salone centrale della Stazione marittima di Napoli,
olio su tela, cm 200×500

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2, Ciro Migliaccio, Paesaggio locale, olio su tela 1985

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3, Cesare Napoletano , la processione del Carro,1995 olio su tela

Ancora una considerazione occorre riportare a riguarda la cosiddetta “scuola”pittorica di Ponticelli, distinguendo la pittura da quella più immediata da cavalletto a quella complessa pittura muraria. A tale scopo cade bene la riflessione storico-critica formulata, dal prof. Ulisse Prota Giurleo a riguardo il pittore Carmine Adamo: questo maestro, nato a Ponticelli nel 1910, viene dal popolo. Suo padre, Michelangelo fu operaio delle FF. SS. E non esitò a mandare suo figlio in un Istituto artistico, quando notò in lui una spiccata inclinazione per la pittura. Ebbe un grande maestro, il compianto Eugenio Viti, a cui il Direttore dell’Istituto, Leonello Balestrieri lo affidò. Iscrittosi poi alla Sezione della pittura decorativa, furono suoi insegnanti i Proff. Barillà e Chiancone. Conseguì nel 1910 il diploma di Maestro d’Arte e nel 1912 l’abilitazione all’insegnamento della Pittura Decorativa. Nello stesso anno, infine, fu nominato assistente alla Sezione Pittura decorativa, ove insegnò per molto tempo fino al trattamento di quiescenza. La produzione artistica del Prof. Adamo incomincia fin dal 1937 con mostre personali regionali e nazionali, oltre la sua collaborazione con altri artisti, come: dal 1937 al 1941, coi pittori Pietro Barillà ed Alberto Chiancone per affreschi ed encausti eseguiti alla Stazione Marittima di Napoli, Mostra E. 12 a Roma, Teatro Mediterraneo alla Mostra d’Oltremare, cartoni per le vetrate nella Casa del Mutilato di Napoli. Col Maestro Francesco Galante, nel 1951, nel Teatrino di Corte del R. Palazzo di Napoli, lavorò al quadro centrale della soffitta, e nel 1953, al pannello del ritrovo del Teatro Mercadante. Su bozzetto del pittore Vincenzo Colucci, eseguì a Ischia nel 1944 affreschi nella chiesa di S. Antonio e restauri nella chiesa dell’Addolorata. I dipinti murali nella chiesa parrocchiali di Ponticelli .

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4, Carmine Adamo, allegoria del martirio di San Gennaro,
dipinto su muro, vele del transetto.

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5, Carmine Adamo,: i misteri di Maria,
i dipinti murari nella cupola centrale della Basilica S. M. della Neve di Ponticelli

Infine, a conclusione di codeste articolate note biografiche, il prof. Ulisse osserva: …Si dice comunemente nemo propheta in patria, perciò abbiamo voluto presentare ai suoi stessi compaesani questo valorose, per quanto modesto artista, che certamente fa, e sempre più farà onore al paese che gli diede i natali.
Eppure, un’opportunità di reputazione è venuta a seguito della assegnazione cittadinanza onoraria della città San Marcellino, provincia di Caserta la prestigiosa decorazione pittorica da lui eseguita per la chiesa parrocchiale. Egli, dice una nota di critica d’arte, è sulla via regia di una tradizione millenaria ed ha affrescato con quel tocco di calda religiosità, che plasma misteri di fede e momenti della liturgia cristiana ( Gaetano Capasso )

Al tempo stesso, occorre tener conto l’ascendenza, di un pittore del calibro di Adamo, sulle ultime generazioni d’artisti di Ponticelli. Negl’anni cinquanta,infatti, un gruppo di studenti di Ponticelli, del resto saggiamente consigliati dal professore Carmine Adamo si sono proficuamente formati frequentando l’Istituto Statale d’Arte di Napoli. E non basta, c’è ancora da registrare che solo una parte di questi nuovi maestri d’arte, dopo il diploma, hanno completata la formazione professionale presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, fintanto che alcuni di essi si pregiano d’essere stati allievi del maestro Emilio Notte.Tra questi, Aniello Mantice, Antonio Bove, Salvatore Rea e Pasquale Coppola, dall’esperienza della lezione nottiana hanno tratto, oltre il fascino sperimentale della pittura, un interesse umano più vasto e soprattutto, facendo capo all’esperienza più immediata delle Avanguardie storiche.

LUIGI FRANCIOSA un pittore nella cultura e società del suo tempo

Dalla fine dell’Ottocento ai primi decenni del Novecento, il quartiere Ponticelli viene interessato da un nuovo sviluppo –economico-culturale in qualche modo come riflessione circa la propria identità storica e civile.
Invero, in questo contesto s’instaura una nuova “concezione del mondo e della vita”; eppure, in ordine al definitivo chiarimento in merito al rapporto tra artista e comunità sociale, fin tanto aggiornato alla contemporaneità.
Per meglio dire, a riguardo di quel che s’è detto, a Ponticelli “un’arte nuova” è lo stile Liberty, che si manifesta non tanto nella pittura, ma in primo luogo nell’arti applicate, fino a far segnare all’ artigianato locale un eccezionale sviluppo degno di nota.
E d’altra parte, l’artista più organico a codesto clima culturale si rivela il pittore Luigi Franciosa ( 1885 – 1946 ).
In poche parole, questo nuovo stile comportava una differente forma di percezione visiva, secondo la quale non risulta in gioco soltanto il contenuto del dipinto, ma abbastanza l’effetto psicologico prodotto dalle forme e dai colori.
Finanche favorendo nel nostro quartiere un processo di democratizzazione del nuovo gusto estetico, limitandosi a sottolineare l’esaltazione della linea curva e sinuosa; pervenendo, persino, ad una sorta di: “celebrazione del dettaglio”. Chiaramente, particolarità della bellezza preziosa di decorazioni, unite, in primo luogo, alla funzione dell’oggetto. . Ciò portava né più né meno, anche a Ponticelli un rinvigorimento delle attività artigianali di lunga tradizione e di straordinarie possibilità tecniche. E non tanto, tutto questo, come sradicamento dalle regole artigianale antiche, ma piuttosto come “celebrazione della Bellezza” estesa a qualsivoglia oggetto confezionato a mano ed essenzialmente legati alla quotidianità.
Sostanzialmente, in questo scenario il pittore Luigi Franciosa, sostenuto da un prodigioso virtuosismo tecnico, perviene ad assumere un ruolo eccezionalmente di collaboratore alle attività artigianale. Espletando, in tal senso un’ampia azione creativa a riguardo le suppellettile lignee di casa, fino alla profusione di delicati decori pittorici ad olio, Fin qui un’altra fondamentale cosa va detta a suo vantaggio, quello di essere stato quasi sempre un instancabile decoratore; evocando, nei motivi ornamentali la suggestione del Simbolismo. Tuttavia, facendo propria l’eredità del passato con inderogabili aperture alle esperienze di respiro europeo: scorgendo nella pittura simbolista una nuova fascinazione per il “mito” e la “leggenda”, seppure con un linguaggio nuovo, di ascendenza mitteleuropea e secessionista ( Figg 1 e 2 ).

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1, Luigi Franciosa, canterano decorato nella cimasa con un classico motivo di “ trofeo floreale”.

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2, Luigi Franciosa, spalliera del letto decoratA con il motivo simbolico, “celebrazione dell’Amore “.

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2 particolare motivo simbolico, “celebrazione dell’Amore “.

Ma a ben guardare vi è dell’altro nella pittura di Luigi Franciosa: ovverosia affiorano nelle arti applicate da lui promosse riferimenti linguistici che sono tipici dell’Arte Nouveau ( Fig. 3 ).

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3, Luigi Franciosa, fascia di lino ricamata con punti e frangia. È consistente nel cosiddetto “tornaletto” : apposito addobbo da porre intorno al letto, a mo di baldacchino.

Quindi, dopo aver parlato della “scuola pittorica” di Ponticelli, il pittore Franciosa, pur restando fedele al linguaggio di codesta corrente, resta sempre pervasa da un vitalismo naturalistico che non è soltanto imitazione della realtà, ma piuttosto schietta evocazione di un’atmosfera metaforica. . E nondimeno, tutto questo indirizzo estetico è ritrovabile nella sua opera più rappresentativa: il ciclo di decorazioni pittoriche dell’appartamento di uno stabile di Ponticelli, viale Margherita, civico 49.
Ad un’attenta analisi iconografica di questo sistema di pittura murale risalta subito com’egli fa proprio il linguaggio simbolista e si comprende subito come sottolinea il principio di “Bellezza” come metafora dalla Famiglia borghese. Chiaramente, con una geniale invenzione iconografica, perviene ad associare le due figure di sposi ad un simbolico albero collocato alle loro spalle. Eppure pervenendo al concetto di “potere germinativo del creato” e persino l’idea di “vita ritmica” come ciclo continuo di “ Vita e Morte”. A parte ogni altra considerazione, resta sotteso a questo ciclo pittorico la percezione del “senso panico della natura” ( Figg. 4 e 5 ).

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4, Luigi Franciosa, l’amore campestre ,.pittura murale ..

Fino a questo punto di analisi dell’opera, è indispensabile tener conto della generale struttura del ciclo di decorazione. Il tutto, infatti, consistente in una ben architettata ripartizione a settori le superficie perimetrale del vano decorato, frequentemente a mezzi di motivi ornamentali. Indicati generalmente come stile “floreale”, del resto caratterizzato da stilemi neorinascimentali e da un repertorio ornamentale derivato dalla rielaborazione di elementi naturalistici, soprattutto botanici.

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5 Luigi Franciosa, volta decorata con angeli musicanti, vano di rappresentanza
dell’ appartamento in oggetto.

L’ispirazione, infatti è volta a trasformare una pittura, già di carattere ornamentale in un’avventura interiore : là dove la natura finisce ad essere considerata come il “luogo del cuore”, del sogno e dell’inconoscibile ( Fig.6 ).

Fin qui, l’operativismo di questo pittore di Ponticelli, consiste in un continuum percorso sperimentale, dando prova di possedere ampia versatilità a riguarda l’arte decorativa, che occorre leggere in termini critici più precisi. Fa d’uopo ora menzionare il genere della pittura religiosa cristiana da lui praticato, fino a consiste in una sorta di valide “rivisitazioni” dell’arte di Raffaello e di Michelangelo. Nella cappella della Congrega del Santo Rosario nella chiesa di Santa Maria della Neve di Ponticelli, ha dipinto nella volta la tele dal tema: la consegna del S. Rosario a S. Domenico ( Fig. 7 ). E del resto l’afflato pastorale della pittura sacra continua nelle vele sotto la cupola: troviamo l’effigie dei due profeti Isaia e Geremia e quella di due donne bibliche:Giuditta e Debora. E secondo l’istanza del sacro racconto richiesto, l’intera opera, sostanzialmente, presenta diversi personali brani di acuta osservazione. Riuscendo, genialmente, a mantenere costante il legame tra rigore dottrinale e religiosità popolare , ove il modello iconografico viene proposto secondo una visione di natura fiabesca.

A ogni modo, tutto questo fare del pittore Luigi Fraciosa rivela rimandi all’ambito storico-culturale del Liberty europeo, privilegiando il linguaggio dei Preraffaelliti. Traducendosi, persino, in uno sforzo verso la modernità ed una volontà di aggiornamento in tutti i settori delle arti applicate.

Il tutto avveniva nello spirito storico-culturale riguardante la fondazione, alla fine del XIX secolo, del Museo Artistico industriale di Napoli. Per volontà di Gaetano Filangieri e Demetrio Salazar e poi trasformato in Istituto Statale d’Arte intitolato “Filippo Palizzi”, il celebre pittore che ne era stato il primo direttore. Eppure in questo intelletto, uno dei suoi compiti etici è stato quello di sviluppare, tramite l’insegnamento, la maturità estetica dell’artigianato locale. Persino, da volontario, ha tenuto per gli artigiani di Ponticelli, corsi di disegno tecnico e nello specifico ha insegnato le proiezioni geometriche ed elementi di prospettiva isometrica.
A conclusione, per meglio definire tutto ciò occorre risalire al contenuto della sua biografia, puntualmente scritta dal prof. Ulisse Prota Giurleo: Vogliamo ricordare che il Prof. Luigi Franciosa nacque a Ponticelli nel 1880 e quivi morì nel 1946. Diplomato dall’Istituto di Belle Arti di Napoli nel 1908, quando nella gloriosa scuola aleggiava ancora lo spirito del grande Domenico Morelli e vi insegnavano Vincenzo Volpe e Giovanni Diana. Cominciò subito a dar chiare prove della sua maturità artistica, conseguendo nel 1913 il diploma di abilitazione all’insegnamento di pittura e paesaggio.
Insegnante di ornato nel Liceo Artistico presso L’Accademia di Belle Arti di Napoli, vi fu nominato, nel 1938, direttore didattico.
E dunque, qui s’inserisce la riflessione su un importante assunto, riguardante gli artisti di Ponticelli: un modello di formazione artistico-culturale , improntato su i “valori che contano” in consonanza coll’attività artigianale e la relativa tradizione socio-religiosa avente radici in molti secoli primi:

Luigi Tammaro. Un pittore nella cultura e società del suo tempo.

Immagini e simboli, elaborati da un pittore di Ponticelli, volti a designare il sistema dei valori civili che hanno interessato il quartiere in una determinata epoca storica.

Il saggio dedicato a talune riflessioni storiche, riguardante l’architettura a Ponticelli nella seconda metà dell’Ottocento, ha già fornito spunti circa i rapporti tra contesto socio-culturale ed esperienze artistiche ( 1 ).
E questa nuova monografia sul pittore Luigi Tammaro ( 1873 – 1931), peraltro, si configura come logica prosecuzione dello studio precedente: esattamente l’avvio di un insolito percorso di lettura dell’arte a Ponticelli, e che si prospetta ricco di spunti per ulteriori eventi culturali, come analisi critiche sul fondamentale chiarimento, in merito al rapporto fra artista e società civile. Nondimeno, quando venivano abbandonate certe logore forme di cultura contadina per passare, non senza difficoltà, alle grande prospettive della civiltà moderna ( 2 ).
Con tutto ciò la ricerca è nata col programma di cogliere e analizzare alcune fondamentali forme della storia di Ponticelli. Intanto, movendo dall’esperienza cruciale del pittore Luigi Piscettaro ( 1831 – 1887 ) e si analizzeranno, persino, gli aspetti più significativi del sistema dei valori storico-economici , che hanno interessato il quartiere a partire dall’età post-unitaria; fin a sollecitare un’indagine di tipo sociologico a riguardo dei modelli civili della classe allora emergente.
A ben ragione, conta ancor di più rilevare che, in questa particolare congiuntura storica, il casale Ponticelli, alla pari di tanti altri centri vesuviani, dopo secoli “bui”, risulta interessato da uno specifico sviluppo economico-culturale, in modo tale da venire a formarsi una nuovo strato sociale.
Di conseguenza, proprio il pittore Luigi Piscettaro, in questo contesto costituisce un operatore culturale che si propone, assolutamente funzionale al nuovo sistema, tant’è che possiamo definirlo l’antesignano di un rinnovato corso della pittura a Ponticelli.
Egli, di fatto, con il superamento dei vecchi stereotipi della pittura religiosa, riesce a coglie l’obiettivo di formulare di un nuovo linguaggio dell’arte, ad alto contenuto di contemporaneità ( 3 ). .
Cosi , una palese conferma a quest’ultima osservazione, è possibile appunto rilevarla dalla lettura attenta, di una eccezionale opere del Piscettaro: la“Deposizione di Cristo dalla croce ” ( fig 1 ), nella cappella Viscardi di via Terzo, a Ponticelli.
Tant’è che, in quest’affresco ( del resto una tempera su muro ) si rivela, senza indugio, un’intelligente interpretazione dei temi iconografici più diffuso nella cristianità d’Occidente, alla luce di un autentico indirizzo del nuovo pensiero liberale. (4 )
Per un primo approccio alla lettura di quest’opera, è opportuno rifarci a quanto scrive, in senso lato, lo storico Carlo Marino: “l’evoluzione e il balzo in avanti che la borghesia si apprestava a realizzare, consisteva nell’abbandono della formula del potere di matrice gesuitico-controriformista ( trono-altare ) per la nuova formula, ordine – progresso” ( 5 ).
Cosicché, considerato il contenuto di questo dipinto, occorre tener conto le sottese implicazioni culturali, politiche e sociali del Piscettaro: l’impianto iconografico viene direttamente dai Vangeli apocrifi, quello di Nicodemo, dove si narra come Giuseppe di Arimatea, occupandosi di deporre il corpo di Gesù morto dalla croce ne avrebbe raccolto il sangue, ponendolo in un panno e subito dopo sistemato in un bacile, E da qui ebbe origine la saga del Santo Graal, ovvero una pietà popolare molto diffusa nel medioevo, ossia la narrazione romanzata riguardante il calice dell’Ultima Cena che avrebbe conservato il sangue del corpo di Cristo disceso dalla croce.
( 6 ).
Non di meno quello che conta di più, a riguardo l’organicità di questo dipinto del Piscettaro, è la constatazione che a Ponticelli, in questo momento storico, l’immaginario religioso collettivo si allenta nei confronti di alcuni specifici settori sociali ( i ceti borghesi e aristocratici ), che a loro volta avevano raggiunto un notevole grado di laicità ( 7 ).
E si aggiunga, quello che conta di più, a riguardo dell’ideologia sottesa a questo dipinto del Piscettaro è la inusitata scelta del soggetto religioso, e non fa meraviglia che ciò avveniva in un periodo storico in cui l’ortodossia cristiana si scontra con un retaggio contadino di magia e superstizione.
E andrebbe da ipotizzare che la cappella Viscardi, fosse, addirittura,- un polo di riferimento di una fazione aconfessionale,e da qui la ragione della committenza dell’opera al pittore Luigi Piscettaro, che in un alcun modo, avrebbe avuto, secondo l’ideologia liberale del tempo, un’indiretta conoscenza delle eresie, luterana e calvinista, alquanto presente nel Napoletano e in Campania.
E inoltre, una palese conferma del contenuto di questa tanto emblematica opera la possiamo ricavare considerando l’apposita firma posta dell’autore, perfino, nel punto nodale dell’impianto iconografico, in caratteri lapidari romani ( con il seguente testo : ” LUIGI PISCETTARO, F- eci-T, A.D. 1868 “ ) laddove si rappresenta l’emblematico atto pietoso della raccolta del sangue di Cristo ( 8 ).
In ogni modo la rimarchevole tendenza al realismo, proprio del linguaggio pittorico del Piscettaro, è possibile riscontrarla in una delle sue più note opere: “Casa comunale di Ponticelli ” .
E’ questo un “paesaggio”non affatto inteso secondo il criterio “ en plein air” tanto invalso, fin allora, nella pittura napoletana, ma piuttosto consiste in un’immagine urbana avente una ben precisa valenza simbolica.
Infatti, questo quadro, ha una portata estetica assolutamente unica, tant’è che possiamo definirlo una sorta d’ icona laica, struttura del pensiero liberale sotteso agli indirizzi politici della nascente municipalità di Ponticelli.
In realtà, tutti questi specifici riferimenti storico-culturali possono essere considerati, opportunamente, come ricostruzione del retroterra nel quale Luigi Tammaro andava a formarsi come artista, che assolutamente corrispondeva ad un sistema ideologico,sotteso alla pittura a Ponticelli.
Ma intanto, con i dati, fin qui raggranellati, non è il momento di stabilire esattamente dove e con quale maestro, il pittore Tammaro, in età giovanile, avrà avuto modo di formarsi, o tuttoché frequentando, come partecipato osservatore, i vari “cantieri” della pittura sacra a Ponticelli,e in primo luogo la cappella di via Tierzo.
E’ significativo, in tal senso, che sia stato allievo di Luigi Piscettaro, un pittore dell’’Ottocento, simbolo dell’arte a Ponticelli, e difatti secondo l’ideologia di questo maestro, egli ha privilegiato, fin dall’inizio, il principio d’organicità dell’opera d’arte.

Per l’appunto, come sub-strato di cultura della pittura locale è stato il principio di verità, ovverosia il “realismo” che adombrava la concezione liberale allora molto partecipata E peraltro ne aveva implicato un ribaltamento del rapporto Stato-cittadino; certo, sostanzialmente, non vigeva più il potere paterno per la felicità dei sudditi, ma al contrario, si determinarono libere ed autonome scelte dei cittadini, che erano arbitri del proprio governo e giudici della propria felicità ( 9 ).
Tutto sommato, proprio la risposta che riguarda la formazione Luigi Tammaro, consisté nel fatto che la costante ricerca di un cosiddetto verismo sociale, avrà avuto,sotto vari aspetti, come diretto riferimento il pittore Luigi Piscettaro , il quale fu il primo, a Ponticelli, ad essere l’ “inventore” di una pittura il cui dato visivo viene rielaborato e reso socialmente organico .
Eppure, questo balzo in avanti del nostro quartiere e l’evoluzione della stratificazione socio-culturale consisté nell’abbandono delle vecchie attività agricole, per tradursi in un altro sistema plurattivo, attraverso nuove o tradizionali applicazioni manifatturiere.
Per niente, queste forze produttive si possano raggruppare in due specie: una con radice molti secoli primi e particolarmente funzionale all’economia contadina ( quali i mastri sellai, gli abilissimi maniscalchi e i cosiddetti “mannesi” ) d’altro canto, la seconda forma di attività artigianale, diversificata e assai rispondente alla sempre crescente richiesta di manufatti di prima necessità e addetti ad espletare commesse che arrivavano dall’intera area vesuviana.
Infine vanno aggiunto – pur se qui ci può limitare ad un fugace accenno – i nuovi opifici impiantati a Ponticelli,tra i quali la cosiddetta “fabbrica dello spirito” in via Argine, e quella a viale Margherita dei “due mulini”
( ancora oggi viene così denominata ) e consisté in una fiorente attività di produzione della pasta, venendo poi trasformata in una, pur limitata, industria di conserve alimentari.
E ancora un’ultima considerazione occorre qui riportare che, assieme queste aziende industriali e anche alle varie aziende agricole del territorio – che pur sempre andavano ad acquistare maggior prestigio – molto fiorente era diventata l’imprenditoria edile, la quale a sua volta assorbiva tantissima altra manodopera.
Tutto sommato, infine, un’altra considerazione occorre qui riportare, che soprattutto in questo preciso momento storico, a Ponticelli, vi era in atto un processo espansivo di acculturazione elementare, che in primo luogo consentì alle minoranze popolare di accedere ai ruoli dirigenti, esercitando così per legge, il diritto al voto .
E qui cade bene il richiamo ad un’altra analisi: sotto questo profilo economico-politico, la trasformazione del gusto estetico trova subito interazione alle varie attività artigianali ( dalla falegnameria al ferro battuto, dalla sartoria maschile e femminile, all’arte del ricamo ) ingenerando così un consistente portato di talenti artistici di respiro estetico da non sottovalutare.
Inoltre, questa dinamica riguarda proprio i pittori di Ponticelli, per quelli che possiamo definire della prima generazione, e a riguardo occorre riconoscere che molti di essi erano soltanto dei curatori di lavori di coloritura e decorazione ( a calce o a colla ) di superficie murarie, interne ed esterne, ma nel contempo si rivelavano, quasi tutti, attenti possessori di tecnica pittorica.
Tutto sommato, torna utile ricordare che, proprio in quest’aura di sviluppo culturale, appunto le varie attività artistiche -dalla pittura, alla musica e alla letteratura- venivano intese tutte in coerenza al sistema sociale.
Infatti, non si può negare che proprio nel nostro quartiere, verso la fine dell’Ottocento e fin ai primi due decenni del secolo dopo, venne a determinarsi, addirittura, una sorta di “ Weltanschauung ” , ovvero, un nuovo modo di concepire la vita che, metaforicamente, è stato definito : “ il bel mondo di Ponticelli” .
E’ sta di fatto, ad ogni costo, che non si è trattato di un’ autentica “ nuova visione del mondo”, ma piuttosto di un insieme d’influenze esterne che venivano genialmente rivisitate, con miscuglio disinvolto alla cultura autoctona .
E qui va subito detto, che appunto in questo contesto, sono da ricercare le radici della formazione di Luigi Tammaro, fin quasi con l’identificazione al cosiddetto “principio di verità” quale elemento portante nella cultura figurativa dell’arte napoletana coeva.
Invero, fin dalle prime opere di questo pittore, sono già presenti tutti quei valori estetici, che troviamo nella sua ricorrente tematica: la ritrattistica, intesa come rigoroso principio di verità, presente appunto nel momento in cui si compie l’analisi del soggetto da ritrarre.
Nel senso che, per il pittore Tammaro, esercitare il genere pittorico della ritrattistica, sarà consistito in un’assoluta piena integrazione ai valori civili della cultura locale.
E per queste implicazioni storico- artistiche, che la sua attività pittorica si presenta, soprattutto, come un interessante e complesso nodo filologico per Ponticelli. Cosicché l’ ”immagine dell’uomo”, quale la nota dominante della sue opere, non consiste soltanto in un rifarsi, ai valori somatici, in senso generico ma piuttosto un’ appropriarsi di un sistema di segni denotanti il protagonista della nuova dimensione della civiltà locale.
E appunto in questa temperie storica, che l’ antica prassi del farsi ritrarre divenne una consuetudine, proprio da coloro che ricoprivano ruoli sociali particolari a Ponticelli.
Come se si volesse scrivere un capitolo della corrispettiva “storia” del personaggio ritratto e quasi subito, attraverso la lettura di queste opere, si riesce a comprendere, il trovarsi al cospetto di un complesso intreccio di dati del vissuto: quali condizionamenti socio-familiari, frutto di una cultura, propria di un determinato periodo storico, che ha interessato il quartiere Ponticelli.
Conta ancor di più rilevare, in questa monografia, riguardante l’ attività pittorica di Luigi Tammaro, le tante precise istanze culturali da far credere che, il suo retroterra, vada ben oltre il discepolato presso i pittori locali che, per la maggior parte, erano culturalmente più modesti di quanto si conosca.
E dunque, per fare emergere tutto questo retroterra, occorre così, in primis, evidenziare come Tammaro fosse documentato a riguardo dei vari fermenti che, al tempo, interessavano la pittura napoletana e che, almeno un primo momento, avrà avuto modo di vagliare, ancora giovanissimo studente presso l’Istituto d’Arte di Napoli ( 10 ).
E senza dubbio, ad un’attenta lettura dei suo primi dipinti s’ identifica, pur nei limiti, una tendenza verso quei linguaggi, propri degli artisti allora emergente a Napolii: i fratelli Palizzi , Saverio Altamura, Domenico Morelli (11 ).
E qui cade bene il richiamo ad un altro giudizio sul pittore Tammaro, che come abbiamo visto, oltre ad essere culturalmente aperto alle istanze di varie provenienze, avrà avuto perfino un certo interesse per l’arte fotografica.
Di fatto, in linea generale quest’attività, a Napoli era già in uso, almeno tempo primo, tant’è vero che, verso la metà dell’Ottocento, fu lo stesso pittore Domenico Morelli ad utilizzare la fotografia, come strumento secondario del proprio lavoro pittorico ( 12 ).
Così stando le cose, a modo suo Tammaro stabilì nientemeno stretto rapporto di scambi culturali con il primo e più antico fotografo di Ponticelli
( 13 ).
Purtroppo, di queste particolare locale attività fotografica, e considerato il carattere transitorio del prodotto, rimangano soltanto rari e frammentari materiali, che per la parte più consistente, costituisce il fondo dell’archivio storico di Ponticelli, del professore Carmine Adamo.
Tutto sommato, proprio in merito a questo corpus di materiale fotografico, emblematico è il richiamo a una delle foto più esemplare: il ritratto in bianco e nero di Luigi Tammaro, dove l’anonimo autore di questa fotografia , con spiccata sensibilità estetica, è riuscito a documentare, hic et nunc, il vivere quotidiano dell’artista. ( fig. 1 )

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1 . Anonimo, foto ritratto del pittore Luigi Tammaro ( 1920 c.a ) ( Archivio “ Carmine Adamo “ )

A questo punto torna utile ricordare come Tammaro sia pervenuto ad essere un artista molto stimato a Ponticelli, attraverso l’intensa produzione di un dei generi pittorici all’epoca molto diffuso: il ritratto.
Tuttavia, sotto questo punto di vista non è affatto certo ipotizzare che egli sia stato il primo, in assoluto a praticare la ritrattistica a Ponticelli, e qui, ai fini della nostra analisi, hanno notevole importanza altri precedenti esempi della ritrattistica locale: i due busti, in stucco modellato ( autore anonimo) installati sulla facciata del palazzo Mele, di viale Margherita, e rappresentanti i capostipiti della famiglia proprietaria del fabbricato ( 14 ).
Ma, passando ad un altro precedente ritratto, torna utile ricordare quello di Giuseppe Capasso , secondo sindaco di Ponticelli dopo l’Unità d’Italia, Nientedimeno, l’autore di questo quadro, ad olio su tela, non è un pittore locale, uno che si firma “Nicola Pastore”, un artista alquanto attivo a Napoli nella seconda metà dell’Ottocento .
A ben ragione, questo singolare ritratto, ai fini del nostro studio ha grande significato, appunto perché ha dato origine ad uno specifico stilema della ritrattistica locale.
E per di più, di quest’opera, conta molto il testo di dicitura, posto sul rovescio del supporto: “ ritratto del sindaco Capasso, nato nel 1820 e ritratto nel 1873, nel mese di maggio, da D. Nicola Pastore “.
Nello specifico, come campo lessicale, basta osservare come tipologia del ritratto consisté in un intero apparato iconico; denotante appieno il soggetto, a cominciare dal contesto socio-storico, la professione esercita e soprattutto il suo stato economico .
E va pure osservato, come disamina dello specifico linguaggio formale, peculiare alla ritrattistica di Tammaro, il soggetto viene sempre rappresentato a grandezza naturale, correntemente a metà busto, in posa impettita e specialmente con una compostezza aristocratica. Lasciano trasparire, suppergiù, sentimenti d’indubbia sicurezza di se ed assoluti valori morali, denotante la classe borghese allora emergente.
Infatti, sotto questo aspetto, la nutrita seria degli attributi, tipici dell’ apparato iconografico creato da Tammaro, per il genere della ritrattistica, diventa parte imprescindibile di una complessa struttura del proprio linguaggio pittorico Ed è come se, per ciascuno dei soggetti della ritrattistica di Tammaro, venisse “scritto” un capitolo d’una “storia” personale ( Fig. 2 ).

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2, Luigi Tammaro, ritratto del medico condotto, il dottore Fortunato Acanfora , olio su tela , 1891.

In questo ritratto, Tammaro, presenta il soggetto in una posa eretta e vestito con molta ricercatezza, ma soprattutto, quello che designa la professione esercitata è un preminente attributo figurativo: il libro posto sotto il braccio a sinistra, ed inoltre questo specifico volume porta inciso sulla copertina, il classico caduceo: l’immagine di una verga con due serpenti simmetricamente intrecciati quale simbolo istituzionalizzato della medicina. E nondimeno, sempre conforme a questo efficace metodo di denotare il soggetto, in questo ritratto troviamo un altro geniale accorgimento figurativo: il richiamo al dato anagrafico, attraverso l’immagine di uno spillo aureo, appuntato sul nodo della cravatta, che come un tocco di ricercata eleganza reca le iniziali (“ A F “ ), corrispettive del cognome e del nome.
.
In altri termini, è questa la riprova che Tammaro disdegnasse non solo il pedissequo principio della maniera accademica, né tanto meno la sperimentazione di più avanzate corrente estetiche (a riguardo l’Impressionismo e il Futurismo ) che fin a quell’epoca interessavano la pittura italiana ed europea.

E quanto detto fin qui, è servito a restituire, alla pittura di Tammaro, una giusta chiave di lettura, e nel contempo è il caso di citare, uno dei suoi più emblematici dipinti: il ritratto del “ massaro Acresta “, databile 1910 c.a ( Fig 3 ).

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3. Luigi Tammaro, ritratto del massaro Acresta ( 1910 ) olio su tela

Quest’opera, magistralmente, presenta tanti specifici attributi che sono tutti segni visivi, di un lessico designante una delle tipiche figure dell’epoca, un membro della “aristocrazia” agricola del territorio di Ponticelli .
In tal modo, la straordinaria capacità
d’ oggettività della pittura di Tammaro, serve ancor una volta a dimostrare, come la cultura del verismo meridionale ( dalla metà del XIX secolo fin ai primi decenni del Novecento ) aveva determinato il rinnovamento artistico e il progresso civile. A partire dal linguaggio di Luigi Tammaro, attraverso una rigorosa analisi del vero, riesce a trasmettere attenti brani del vissuto.
Cosicché, in questo ritratto, il soggetto presenta il volto segnato da una fila di vistosi ed imponenti baffi e indossa un particolare abito che alludente una certa divisa militare ( la tipica uniforme dei cosiddetti“guardalagni” ) ed è, a sua volta, impreziosita da una spessa catena aurea, che diventa peculiare ostentazione del proprio censo. Principalmente comunica il singolare ruolo sociale ricoperto, che metaforicamente viene espresso da un singolare orecchino, posto al destro lobo del padiglione auricolare.
Non di meno poi, il sistema d’organicità della pittura di Tammaro, acquista ancor di più un’accentuata valenza sociale. E’ questa la fase più avanzata della sua più brillante ideazione di tipologia del ritratto, diventandone l’ideatore del cosiddetto “pendant nuziale”: un insieme di due tele a mo di dittico , con l’immagine dei due corrispettivi sposi, ed avente finalità precipua di serbare la memoria dell’ evento matrimoniale . A ben guardare, questa nuova struttura della ritrattistica, consiste esattamente in un dittico, ha una particolare finalità di fissare visivamente l’avvenuto vincolo matrimoniale ed evidentemente funzionale a un sistema sociale ad economia debole, quale quella del meridione d’Italia, in tal caso due famiglie ponevano insieme le proprie risorse economiche proteggendole dalla dispersione, talvolta attraverso il cosiddetto “matrimonio combinato”
E di fatto, questa articolata aggregazione di due tele, di identica misura, veniva soventemente collocata, attraverso una formalità quasi cerimoniale, nell’appartamento degli sposi. Con la funzione di conservare la memoria storica dell’evento nuziale, quale fondamento del sistema socio-economico borghese.
Infatti, a una lettura puntualizzata il dittico nuziale, soprattutto in ordine agli elementi visivi fondamentali dei valori comunicativi, presenta il soggetto pur sempre raffigurato a metà busto, effettivamente vestiti elegantemente, con una raffinata acconciatura e largheggiando nella ostentazione di preziosi gioielli. Puntando, quasi come un’indagine di tipo sociologico, sui modelli dell’ideologia borghese

Cosicché, per restare in quest’ambito d’analisi critica che ci siamo proposto, ci occuperemo un secondo momento dei ritratti, quelli fatti da Luigi Tammaro, ai membri della propria famiglia, lasciandosi insolitamente trasportare da tenaci sentimenti affettivi.

Il linguaggio veristico, connotante queste opere, è pur sempre sotteso alla restituzione dell’aspetto fisionomico, ma viene a tal punto caricato, da coinvolgere tutta una serie di dati contingenti, riportati con immanente retorica che, niente di meno, ha la specifica funzione di contribuire a dare maggior prestigio al suo casato .
A questo punto, è il caso di citare una di queste opere, il ritratto del cugino,il maestro di musica Ciro Tammaro , dal titolo:

“ A te Ciro”, datato 1922

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5 Luigi Tammaro  “ A te Ciro”, 1922

E va anche aggiunto in tutto questo, che assieme all’immagine si trova una insolita, lunga dicitura, quale testo commemorativo appositamente preparato da uno dei membri della famiglia ,dal cugino Michele, detto “
’o tabaccaro ”. e che in tal senso recita:

“ A te Ciro,
orgoglio maggiore di nostra casa
che nelle terre d’Oltremare
già nostra
per la grandezza d’Italia
offristi
con coraggio e con ardimento
la tua vita giovanile
. . . . . . ,..

In effetti, sul piano generale, questa iscrizione celebrativa, consistente in un classico rotolo aperto, attaccato a un plinto monumentale, e recante, ad ogni costo, il prestigioso stemma della casa reale dei Savoia; conta ancor di più rilevare che sul piano d’appoggio di questo basamento è stato posto un elmo di guerra, quello completare alla divisa militare, indossata dal ritratto, fin ad avere una specifica funzione denotativa; difatti l’immagine del cappello è segnato dal grafico del Reggimento d’appartenenza, fin a costituisce un dato storico ben preciso.
E ancora una considerazione, a riguardo il complesso apparato di simboli riguardante questo singolare ritratto, il paesaggio d’insieme risulta contestuale a questo criterio d’ evocazione storica oggettiva: si vuole alludere ad un accampamento militare e segnato da una sproporzionata insegna, con una vistosa targa di “ fureria “ .
Il tutto, a sua volta, rimanda a un dato di rilievo del servizio militare svolto da Ciro, quale furiere, come addetto agli aspetti amministrativi del suo reparto militare d’appartenenza.

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L.Tammaro –Arco di trionfo –particolare di destra.

E conta ancor di più rilevare che in tutto questo consiste la singolarità dei dipinti sacri di Luigi Tammaro. Così occorre richiamare le finalità anche soprattutto pittoriche che riscontriamo in altre opere seguente , nello specifico i dipinti i commissionati della Congrega di Sant’Anna di Ponticelli
Nella cappella, di questo sodalizio, sulla volta e in asse al presbiterio, Tammaro ha eseguito un singolare dipinto, a tempera su muro, che consiste in una geniale interpretazione di uno dei più noti temi dell’ iconografia della Vergine

Infine, quanto detto fin qui, restituisce a Tammaro una giusta valenza storico-culturale, e purtroppo, la letteratura critica riguardante la sua pittura è alquanto scarna.
E un primo orientamento analitico relativo al suo ruolo nell’arte a Ponticelli ci viene offerto dai ricordi e relative documentazioni, con sagacia attenzione sono state messe insieme dal prof Carmine Adamo eppure dal prof architetto Nicola Franciosa, essendo stati questi i primi estimatori del pitture Tammaro, dedicandosi varie volte ad interventi di recupero di materiali storici e tentativi di catalogazione dell’opera omnia del Nostro.

La pittura di Ponticelli – le origini

Questo saggio ha l’intento di studiare un’attività culturale ed in primo luogo occorre  procedere  allo “scavo”storico-critico della pittura nel nostro quartiere. Soprattutto,  consentire lo studio e la protezione  dei significati che sono propri al soggetto rappresentato.

Infatti, la portata della pittura viene analizzata come una sorta di archetipo della civiltà locale: pressoché, come decodifica del contenuto dell’opera pittorica quale “specchio dell’inconscio collettivo”. Ed in quanto tale diventa simbolo del modo di pensare e di sentire connaturale all’autore. Per questo, lo spazio comune della creatività artistica, in effetti, è consistito nel riconoscere il proprio ruolo concernente a quello del committente. È già un gran fatto che l’attività dei pittori ponticellesi, non va intesa sotto forma di personale espressione artistica, ma piuttosto come mansione d’interdisciplinarietà ai vari sistemi dei valori riguardanti i “mestieri” esercitati in loco In senso che essi ebbero piena coscienza di nozione dell’ars-igiano”,come semplice pratica che richieda la sola concreta manualità. E nondimeno, nel contesto civile del quartiere,in piena età liberale si comincia ad operare tra cultura erudita e cultura materiale, con una considerazione del lavoro assolutamente secondo le varie forme d’esercizio d’artigianale: dal carpentiere all’ ”apparatore”, dai musici ai pittori. E nello stesso tempo ognuno vive soltanto perché è parte integrale di una comunità; in quanto, non si può negare che pure Ponticelli fosse interessata da una vera e propria Weltanschauung , ovverosia uno speciale modo di concepire il mondo e la vita. È solo in questi limiti che viene fatto salve la libertà di ispirazione, propriamente individuale e nel modo ragionevole di consentire lo sviluppo di una vera e propria cultura della “civiltà del lavoro”, trasmessa da generazione in generazione. Detto questo, per ampiezza di analisi, passiamo a prendere in considerazione una fotografia d’epoca, datata 1909 e dal contenuto: concerto in piazza, .(fig.1). Eppure andrebbe vista come una sorta di emblema dello scenario socio-storico primo citato.

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1) Ponticelli, concerto in piazza, fotografia ( f.to cm. 30 x 21) È da rilevare, pure che l’autore di questa foto, sarà stato uno dei primi fotografi di Ponticelli – probabilmente Enrico Stigliano – che addivenne, con una tecnica, fino allora alquanta pionieristica,a documentare, momenti emblematici del vivere civile nel quartiere. Ecco perché, è fuor dubbio che questo documento figurativo, ha senso in quanto documenta una speciale perfomance dal vivere la cultura a Ponticelli. D’altra parte, presupporre che la pubblica partecipazione alla festa padronale, abbia manifestata piena realizzazione, appunto, attraversa la erezione di un apparato effimero: la cosiddetta “cassa armonica”. Eppure, di quanto viene documentato in questa fotografia, non è tanto interessante per l’aspetto monumentale, ma piuttosto per il criterio civile del procedimento tecnico adottato per la realizzazione dell’opera: In sintesi ciò è avvenuto proprio con il concorso congiunto di vari artigiani locali. Ovverosia, si è trattato dell’intervento di vari artefici, da quello del carpentiere, a riguarda la struttura lignea a quello dell’apparatore per quanto attenente la messa in opera dei drappi serici. Poi, come esauriente applicazione del suesposto metodo c’è quello dell’anonimo pittore, che si è reso disponibile nella creazione d’immagini decorative, di più il pannello di decorazione della cimasa, con un prestigioso contenuto sacro: il Miracolo della Neve, si tratta di un tema iconografico molto vicino alla pietà popolare.. Fin qui, occorre tener conto, in primo luogo, del ruolo espresso dai musici, il gruppo dei componenti la “banda musicale” locale. Ecco, perché appaia valida la linea di partecipazione collettiva, che per questo, andrebbe vista quale dinamica di sviluppo culturale collettivo. E vale a dire che si tratta di un determinato ambito socio-culturale, nel cui contesto si possono seguire comuni percorsi, in primo luogo, proprio l’arte della pittura. Fin qui, potremmo fermarci a considerare il criterio di un altro giudizio storico-critico, del resto splendidamente attinente; persino, si potrebbero definire, tutti questi fermenti culturali, una sorta di Scuola pittorica di Ponticelli. È evidente che, tutto ciò andrebbe inteso, non nel senso di adesione a un determinato indirizzo artistico, filosofico e letterario, ma piuttosto come movimento di ricerca continua di percorsi sperimentali, a riguardo l’attività della pittura. Almeno che sia partecipe la “vocazione artistica”, nella misura di comune, libera scelta di linguaggio, senza far parte di alcun indirizzo di corrente. Inoltre, resta evidente che, come Scuola, ci sia stato nondimeno un “maestro antesignano”. E a quanto stante ai documenti in nostro possesso, si può prendere in considerazione il pittore Luigi Piscettaro (1831 – 1887). E per quanto questa scelta sia anch’essa foriera di ulteriori approfondimenti, riteniamo giusto indicare come per quest’artista, le formazione di base sono consistite in assolute istanze veriste, proprie della pittura napoletana di Domenico Morelli. C’è ancora da rilevare un altro importante aspetto di codesto clima culturale, l’addentellato un modo del tutto diretto alla “Scuola di Resina”e, relativamente all’arte di uno dei suoi maggiori epigoni, il pittore Marco De Gregorio (1829 – 1876 ). Infatti, la sintomatica conferma a queste istanze estetiche, viene fornita dallo stesso Luigi Piscettaro, attraverso una delle sue più emblematiche opere pittoriche la Casa comunale di Ponticelli (fig. 2) . Rivelandosi in linea alla pittura di De Gregorio, come sperimentatore della cosiddetta pittura all’”aria aperta”, che tanta influenza avrà su i pittori di Ponticelli, della seconda e terza generazione.

fig 2

2 . Luigi Piscettaro, sede municipale di Ponticelli,1876 [ olio su rame]

E nello stesso tempo tale temperie designa la pittura sacra ed è stato un dipinto del Piscettaro a fornirci un prezioso documento della pittura di questo genere: una tempera su muro, nell’interno della cappella Viscardi di via Vicinale Tierzo, nei paraggi del Cimitero di Ponticelli e dal tema: deposizione di Cristo dalla Croce, firmata: Luigi Piscettaro F [eci] T, A D 1868 [ fig. 3]. Eppure, la riposizione della firma e la data, vuole intendere che l’artista appartiene alla vita stessa dei singoli devoti astante all’opera e nel contempo è parte dell’insieme di cittadini di questo territorio.

fig 3
3 Luigi Piscettaro, Deposizione, 1868. ( tempera su muro )

Esaminando poi, più vicino questo dipinto murario si perviene alla percezione delle cose narrate:la consegna del corpo di Cristo, depositato dalla croce, a Giuseppe d’Arimatea. In quanto consiste in una rivisitazione iconografica del tema commissionato. Nella misura in cui, codesto brano evangelico, diventa un fatto dal vero, così come stesse accadendo intorno a noi. In tal senso, è osservare come la figura del “facoltoso uomo di Arimatea ”, viene rappresentata vestita non tanto con abiti preziosi, come consuetudine nell’iconografia tradizionale, ma piuttosto indossa abiti spiegazzati e con un panno girato intorno alla testa per trattenere i capelli. Fino al punto che, l’autore del dipinto, ha voluto intendere la figura del pio Giuseppe d’Arimatea un presunto “uomo da fatica”, nelle sembianze di un necroforo, appunto intento al suo specifico lavoro, così come quelli dell’attiguo cimitero comunale di Ponticelli. Tanto vero che, questo dipinto, pur essendo stato commissionato dai devoti assidui a questa cappella privata, diventa pretesto per comunicare un diverso messaggio socio-culturale: Trovando ispirata giustificazione cristiana la sofferte vicende amministrative del Comune di Ponticelli volte a vietare la secolare consuetudine di seppellire i morti nelle chiese per inattaccabili ragioni igieniche. È per questa particolare congiuntura di sviluppo civile, appunto l’ Amministrazione comunale di Ponticelli, s’avvalse del pittore commissionandole     un’ opera organica al nuovo sistema di governo civico.

La cona dell’altare maggiore

La prima notizia riguardante questo polittico risale al 1598, precisamente dagli atti della Santa Visita fatta dal Cardinale Alfonso Gesualdo. Eppure, il riferimento che ci riguarda, è il seguente : Una cona nel altare maggiore con la Madonna de rilievo indorata con il figlio al braccio destro, con la pittura de S. Pietro et S. Paolo dalle bande et sopra l’annunciatione con uno panno di sangallo turchino pintato con la passione dal Signore.
E nondimeno, ci resta da prendere in considerazione la portata iconologica di quest’opera che, in base al linguaggio curiale, così succintamente è declinata:
la Madonna de rilievo ( cioè a tuttotondo )
la pittura dei santi Pietro e Paolo della banda ( ossia le due parti laterali )
la cimasa formata da un panno di sangallo turchino con sopra l’effigie dell’Annunciazione e quella della Passione di Gesù.
E quindi, conforme ad un’attenta analisi iconologica, occorre in primo luogo tener conto dell’ambiente socio-colturale nel quale sono maturate le specifiche motivazioni di committenza della cona. In realtà, i responsabili dell’Università del casale Ponticelli, nell’aura del successo raggiunto ( ossia la Bolla “ Sane pro parte” di papa Leone X del 1520 che istituisce la Parrocchia S. Maria della Neve) pervennero all’”invenzione” del polittico per l’altare maggiore, che fosse evidente testimonianza delle sue radici ideologico-religiose.
E quindi lo studio del contenuto di quest’opera d’arte sacra, serve ad evidenziare quali sono stati i fattori programmatici, letterati ed eruditi abbiano agito sulla specifica denotazione di stile, ossia del sotteso linguaggio estetico.
Detto questo, rivolgiamoci un momento a fare le seguenti osservazioni storico-critiche capace di mettere a disposizione di un più largo pubblico i risultati di un tenace impegno di studio e restauro di quanto ci resta dell’apparato iconico dell’ancona d’altare maggiore.
In primo luogo, ci occuperemo del simulacro della Madonna “ de rilievo indorato”, allogato ad una artista scelto tra i più noti del tempo, coll’intento che avrebbe fatto aumentare di prestigio una comunità, innanzitutto ben organizzata civilmente e religiosamente matura (fig. 1 ).

F. 1 ) particolare del simulacro della Madonna della Neve.
Infine, occorre osservare che non possediamo alcun documento specifico, per risalire al prototipo del progetto integrale dell’ancona d’altare della nuova chiesa parrocchiale di Ponticelli. E intanto continuiamo coll’osservare che la cona , allo stato attuale, essendo pervenuta smembrata e parzialmente lacunosa, non consente confronto ad alcun possibile prototipo Nello stesso tempo ci resta da credere che appunto l’ancona di Teggiano sarà stato modello attendibile se non altro da credenziale al prestigio del pittore Andrea da Salerno, presso i ponticellesi.
Più precisamente, per un’analisi storico-critica di questo monumento occorre richiamandoci a quanto già è stato affermato dal padre benedettino Francesco Vignanelli. Va detto subito che questi è stato abbastanza puntuale nell’indicare la corrente artistica alla quale andrebbe collocata l’autore dell’opera, mentre tanti altri motivi iconografici sono nascosti e persino irrisolti. Nondimeno, il discorso iconografico riguardante quest’opera viene fatto soltanto in funzione del linguaggio formale prettamente rinascimentale. Fin tanto, senza necessaria altra documentazione, si ritiene accettabile l’attribuzione della statua lignea allo scultore ed architetto Giovanni Merliani da Nola ( 1478 – 1559 ). E per quanto riguarda le due tavole laterale, non a torto, l’attribuzione viene fatta al pittore: Andrea Sabatini da Salerno ( 1490 c.a 1530 ) o tuttavia, persino alla sua “bottega” che allora andava per la maggiore.
E nondimeno, per lo studio in chiave iconologica della cona occorre tener costantemente presente quanto s’è detto a riguarda l’Università di Ponticelli ad assumersi l’onere della committenza di una così impegnativa opera d’arte sacra. Così, per le famiglie più abbiente, tali gesti di liberalità consistevano una questione d’onore, nel senso che servivano, addirittura, ad arrecava prestigio al proprio casato.
In realtà, sulle corrispettive tavole laterali del polittico con le effigie dei santi Pietro e Paolo, possiamo facilmente scorgere una cosa molto interessante: piccole figure di laici. Vale a dire che sono, la raffigurazione dei committenti; come figure in preghiera e rigirate al centro, verso il simulacro della Madonna.
Per questo, il compito toccato al pittore, di sicura cultura umanistica è stato quello di rifarsi ad un tema iconografico di matrice bizantina: ovverosia all’istituzione della “deesis” ( supplica, intercessione ) fino allora alquanto invalso nel meridione d’Italia. È addirittura a fare emergere questi principi religiosi c’è voluto un altro peculiare dato iconico di cultura della Chiese d’orientale, il fondo dorato, così com’è facilmente percepibile in queste due tavole laterale della: cona nel altare maggiore (fig. 2 )

Bove racconta 2.

F.2) Ricostruzione fotografica della cona.

Fin qui, è interessante studiare l’opera, tenendo presente anche quello che ha osservato il Visitatore:
l’ annunciazione con uno panno di sangallo turchino pintato la passione del Signore. Per così dire, non ci deve meravigliare l’insolita sovrapposizione di figure sacre effimere. In realtà tale stato d’incompiutezza si giustifica per il fatto che tutta la complessa commissione dell’opera è stata fatta in tempi abbastanza differiti, o per motivo economico oppure per poco tempo di disponibilità dell’artista.
Ebbene, a questo punto torna utile osservare che il programma generale dell’impianto iconico della cona è simile a quello di un’altra cona, che si trova nella chiesa S. Andrea Apostolo di Teggiano (provincia di Salerno) ed attribuita ad Andrea Sabatini (fig.3 ).
Quindi, il confronto che sto per fare nasce direttamente dall’esperienza iconologica e torna utile osservare che la struttura compositiva è la stessa, ma quello che maggiormente sorprende è il modo stesso affastellato d’inserire il tema dell’Annunciazione. Lo “sforzo” del pittore è quello di rispondere ad un’esigenza precisa del della committenza clericale: promuovere la pietà mariana in un modo dottrinale, ad incominciare dal peculiare centro cristologico,

: F. 3 ) Andrea da Salerno, Madonna delle grazie e Santi Nicola
ed Antonio da Padova, 1511 .

Infine, ci rimane un’ultima interessante osservazione iconologica, a confronto di quanto or ora s’è detto: premesso che in un certo modo a Ponticelli il culto mariano sotto il Titolo della Neve non sia stato soltanto frutto di una “intuizione” religiosa della comunità , ma piuttosto indirizzo pastorale ufficiale della Chiesa romana. È la conseguenza di tutto ciò la si evince da un valido modello iconografico d’età paleocristiana: l’effigie dei santi Pietro e Paolo insieme a quella di Gesù Cristo maestro. Certamente, questa sacra immagine è stata pensata per significare la cristianità cattolica e per questo motivo usualmente veniva installata sulla facciata delle basiliche romane. Quindi, torna opportuna richiamare la variante che, dopo il Concilio di Nicea, venne apportata a codesta iconografia: alla figura di Cristo viene sostituita quella della Madre di Dio giustamente per assodare il primato della Chiesa.
Ebbene, sull’esempio delle basiliche di Roma, la comunità parrocchiale di Ponticelli concentra l’attenzione su questa speciale iconografia dell’arte cristiana, dal momento che richiama la coscienza e la cultura in fatto di consapevolezza dell’autorità dottrinale e specialmente del primato giurisdizione del Pontefice.
Precisiamo, infine che quest’ultima constatazione trova addirittura conferma testamentaria in quanto si legge nel primo libro parrocchiale dei Battezzati ( Archivio Storico S.M. della Neve di Ponticelli ) : A dì primo novembre 1565 jo (… ) parrocchiano della villa de ponticello (… ) faccio fede havere baptizati li suscritti secondo comando la Sacra Santa Romana madre ecclesia.

il CARRO 2014

Di solito, quando si pongono in questione gli archetipi riguardanti la nostra “macchina da festa” un senso di sbigottimento viene partecipato da larga parte del popolo dei fedeli. Però questo ingiustificato effetto fa il contrario in una ben più specifica fascia dei devoti alla Madonna della Neve, a partire dal Comitato dei festeggiamenti alle Autorità del clero locale; che, di solito, caldeggiando con vigore le opportune innovazioni.
In tal senso il “Carro 2014” è stato un valido riscontro a codesti modo di partecipare l’evento festivo.A ben guardare, questi comportamenti socio-culturali sottendono un civile e responsabile concetto di concepire il mondo e la vita nel nostro quartiere. Eppure siffatte considerazioni hanno importanza all’intento di un’attenta lettura storico-critica, di quello che potremmo dire nuove soluzioni strutturale: non più pedisseque ma volentiere con intento creativo personale.

Perciò, tutto questo conta molto ai fini della nostra lettura dell’opera. Come prima osservazione occorre argomentare su quanto è stato ritenuto superato rispetto allo stereotipato criterio d’intendere la “veste” del Carro e da elencare in quattro specifici punti:
a) La gerarchia di criteri comunicativi dei lati della piramide.
b) La consuetudine compositiva generale secondo il principio vitruviano degl’ordini architettonici sovrapposti.
c ) adoperare monumentali “pannelli istoriati” in cartapesta.
d) L’uso di “cartigli” con testi dottrinali, peraltro poco leggibili.
Eppure, un primo momento, a far emergere questo spirito innovativo c’è riuscito Vittorio Cortini per il Carro 1993 ,come vincitore del primo concorso pubblico in materia. Progettando una geniale e coraggiosa “rivisitazione” cubo-futurista della nostra macchina da festa.

carroCortini001  il Carro 1993

Così appare chiare che, tutto questo come inusitato ordinamento dei volumi e dei colori , avrà ingenerato un impulso creativo per alcuni giovani artisti e coll’intento di emularlo. Eppure in tale significato che si spiega l’attivismo creativo di Umberto Manzo, Vincenzo Rusciano e Antonio Picardi, a riguardo il progetto di decorazione della più recente edizione del Carro. Infatti, la loro ideazione non solo è risultata scevra di “improbabili convenzionalismi”, ma in primo luogo come sorprendente texture di volumi semplici. Effettivamente, va riconosciuto a questi tre maestri il merito d’aver visualizzato l’”afflato didattico” del Carro, con un organico processo di comunicazione religiosa nel contesto del nostro quartiere.Questa prerogativa è consistita nell’aver privilegiato, come linguaggio formale il “grado minimal”, consone ai più avanzati simboli visivi della comunicazione. È persino superando il rischio di una globalizzazione di“astrattismo nichilistico”, sono riusciti e rendere appieno un’esigenza espressiva d’impronta nettamente spiritualistica.D’altra parte, a loro torna utile il merito di aver ben saputo gestire la collaborazione con gli artigiani (molto edotti nelle arti applicate ) preposti alla realizzazione della macchina da festa.

carro2014001 Il Carro, 2014

Effettivamente, la cultura materiale, quale patrimonio di questi anonimi “apparitori”, è risultata imprescindibile al nuovo modo di concepire il Carro e senza lasciar adito ad alcuna inopportuna improvvisazione. E di sicuro, negli spigoli del poligono, viene “ignorata” la conformazione ad angolo retto a mezzo di tutta una serie di dislivelli e compenetrazioni di piani resi con una estrema maestria plastica. In primo luogo, nel “tracciare le nozioni del sacro”, gli autori della veste del Carro hanno fatto ricorso a convenzionali segni religiosi, idealmente in chiave di religiosità popolare e pur sempre in linea dell’iconografia mariana, preferendo addirittura inserirli in un contesto rigorosamente monocromatico: il bianco assoluto ed appena rilevato con orlature dorate.
Nientedimeno, considerando il retroterra culturale di questi tre autori del Carro 2014, dobbiamo ritenere geniale che il tutto si rifà alla teoria della “percezione del sacro” teorizzata da Kandinskij. Per comprendere meglio, in “Dello spirituale nell’arte “, quest’artista afferma come al pari del senso di una “parete nuda” il colore bianco acquista la connotazione di simbolo di un mondo in cui tutti i colori sono scomparsi come sostanza materiale, fino ad agisce sulla nostra psiche come un grande silenzio”.
Persino, occorre rilevare che il “suono” del candore, connotante il Carro, ha agito come un “grande silenzio” ricco di possibilità immaginative, addirittura folcloristiche.
Eppure, tutto qui si concentra l’”imagerie” istituzionale della nostra macchina da festa, che di sicuro troviamo indirizzato a quanto viene detto nel Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica: “dalla secolare tradizione conciliare apprendiamo che anche l’immagine è predicazione evangelica. Gli artisti di ogni tempo hanno offerte alla contemplazione e allo stupore dei fedeli i fatti salienti del mistero della salvezza, presentandoli nello splendore del colore e nella perfezione della bellezza:
Infine, a monito di quanti altri in futuro si cimenteranno alla progettazione della veste del Carro, preferiamo riportare quanto viene affermato da Timothy Verdon, critico d’arte e non che notissimo iconologo della cultura cristiana: “l’arte sacra contemporanea opera frequentemente con questa modalità; parte da un’assenza – il corpo, il volto di Cristo ad esempio – per arrivare ad una Presenza visibile ma non iconica. Non narra del Divino, ma invita chi la contempla a partecipare personalmente al dialogo tra l’artista e Dio, tra la creatura creativa ed il suo Creatore .
Veniamo, per questo ad una ragione ancor più fondamentale a riguardo la festa del Carro: la necessità di conservare nel tempo la prassi del corteo religioso, inteso come sacra processione e trasporto della tradizionale macchina da festa.
È necessario, quindi, che le attuali generazioni di devoti alla Madonna della Neve, oltre al compito prima esposto si carichino di una seconda e civilissima incombenza: porre all’attenzione dei diretti Responsabili dell’UNESCO l’ipotesi di concedere la “tutela” del rito del Carro a Ponticelli, quale “bene immateriale dell’umanità”.
Allora se l’obiettivo è questo, soprattutto si tratta di porre rimedio ad un certo declino delle tradizioni locali a causa del disinteresse dei giovani ed il rischio dell’immigrazione.
Una incombenza questa senza pregiudizi, carica di sfide e interrogativi: infatti in primo luogo occorre documentare, con rigore scientifico, il “fenomeno” della religiosità popolare del nostro quartiere, quale retaggio del passato. Un sentimento quasi millenario che si esprime di volta in volta in forme attinte a memoria ancestrali, rivissute nel cristianesimo sotto forma di culto della Madonna.
In questo senso si apre la consapevolezza collettiva per il futuro della “tradizione del Carro”, da partecipare in senso specialmente globale.
Precisiamo, infine, come nel complesso impegno si delinea una necessità di promuovere apposita Commissione, composta da volontari preposti ad elaborare il relativo progetto con competenza e senza esitazione alcuna.
E ancora, ringrazio di cuore tutti quelli che rispondono nel dare immediato più mirati suggerimenti, avendo accolto con generosità questo mio invito.