Immagini e simboli, elaborati da un pittore di Ponticelli, volti a designare il sistema dei valori civili che hanno interessato il quartiere in una determinata epoca storica.
Il saggio dedicato a talune riflessioni storiche, riguardante l’architettura a Ponticelli nella seconda metà dell’Ottocento, ha già fornito spunti circa i rapporti tra contesto socio-culturale ed esperienze artistiche ( 1 ).
E questa nuova monografia sul pittore Luigi Tammaro ( 1873 – 1931), peraltro, si configura come logica prosecuzione dello studio precedente: esattamente l’avvio di un insolito percorso di lettura dell’arte a Ponticelli, e che si prospetta ricco di spunti per ulteriori eventi culturali, come analisi critiche sul fondamentale chiarimento, in merito al rapporto fra artista e società civile. Nondimeno, quando venivano abbandonate certe logore forme di cultura contadina per passare, non senza difficoltà, alle grande prospettive della civiltà moderna ( 2 ).
Con tutto ciò la ricerca è nata col programma di cogliere e analizzare alcune fondamentali forme della storia di Ponticelli. Intanto, movendo dall’esperienza cruciale del pittore Luigi Piscettaro ( 1831 – 1887 ) e si analizzeranno, persino, gli aspetti più significativi del sistema dei valori storico-economici , che hanno interessato il quartiere a partire dall’età post-unitaria; fin a sollecitare un’indagine di tipo sociologico a riguardo dei modelli civili della classe allora emergente.
A ben ragione, conta ancor di più rilevare che, in questa particolare congiuntura storica, il casale Ponticelli, alla pari di tanti altri centri vesuviani, dopo secoli “bui”, risulta interessato da uno specifico sviluppo economico-culturale, in modo tale da venire a formarsi una nuovo strato sociale.
Di conseguenza, proprio il pittore Luigi Piscettaro, in questo contesto costituisce un operatore culturale che si propone, assolutamente funzionale al nuovo sistema, tant’è che possiamo definirlo l’antesignano di un rinnovato corso della pittura a Ponticelli.
Egli, di fatto, con il superamento dei vecchi stereotipi della pittura religiosa, riesce a coglie l’obiettivo di formulare di un nuovo linguaggio dell’arte, ad alto contenuto di contemporaneità ( 3 ). .
Cosi , una palese conferma a quest’ultima osservazione, è possibile appunto rilevarla dalla lettura attenta, di una eccezionale opere del Piscettaro: la“Deposizione di Cristo dalla croce ” ( fig 1 ), nella cappella Viscardi di via Terzo, a Ponticelli.
Tant’è che, in quest’affresco ( del resto una tempera su muro ) si rivela, senza indugio, un’intelligente interpretazione dei temi iconografici più diffuso nella cristianità d’Occidente, alla luce di un autentico indirizzo del nuovo pensiero liberale. (4 )
Per un primo approccio alla lettura di quest’opera, è opportuno rifarci a quanto scrive, in senso lato, lo storico Carlo Marino: “l’evoluzione e il balzo in avanti che la borghesia si apprestava a realizzare, consisteva nell’abbandono della formula del potere di matrice gesuitico-controriformista ( trono-altare ) per la nuova formula, ordine – progresso” ( 5 ).
Cosicché, considerato il contenuto di questo dipinto, occorre tener conto le sottese implicazioni culturali, politiche e sociali del Piscettaro: l’impianto iconografico viene direttamente dai Vangeli apocrifi, quello di Nicodemo, dove si narra come Giuseppe di Arimatea, occupandosi di deporre il corpo di Gesù morto dalla croce ne avrebbe raccolto il sangue, ponendolo in un panno e subito dopo sistemato in un bacile, E da qui ebbe origine la saga del Santo Graal, ovvero una pietà popolare molto diffusa nel medioevo, ossia la narrazione romanzata riguardante il calice dell’Ultima Cena che avrebbe conservato il sangue del corpo di Cristo disceso dalla croce.
( 6 ).
Non di meno quello che conta di più, a riguardo l’organicità di questo dipinto del Piscettaro, è la constatazione che a Ponticelli, in questo momento storico, l’immaginario religioso collettivo si allenta nei confronti di alcuni specifici settori sociali ( i ceti borghesi e aristocratici ), che a loro volta avevano raggiunto un notevole grado di laicità ( 7 ).
E si aggiunga, quello che conta di più, a riguardo dell’ideologia sottesa a questo dipinto del Piscettaro è la inusitata scelta del soggetto religioso, e non fa meraviglia che ciò avveniva in un periodo storico in cui l’ortodossia cristiana si scontra con un retaggio contadino di magia e superstizione.
E andrebbe da ipotizzare che la cappella Viscardi, fosse, addirittura,- un polo di riferimento di una fazione aconfessionale,e da qui la ragione della committenza dell’opera al pittore Luigi Piscettaro, che in un alcun modo, avrebbe avuto, secondo l’ideologia liberale del tempo, un’indiretta conoscenza delle eresie, luterana e calvinista, alquanto presente nel Napoletano e in Campania.
E inoltre, una palese conferma del contenuto di questa tanto emblematica opera la possiamo ricavare considerando l’apposita firma posta dell’autore, perfino, nel punto nodale dell’impianto iconografico, in caratteri lapidari romani ( con il seguente testo : ” LUIGI PISCETTARO, F- eci-T, A.D. 1868 “ ) laddove si rappresenta l’emblematico atto pietoso della raccolta del sangue di Cristo ( 8 ).
In ogni modo la rimarchevole tendenza al realismo, proprio del linguaggio pittorico del Piscettaro, è possibile riscontrarla in una delle sue più note opere: “Casa comunale di Ponticelli ” .
E’ questo un “paesaggio”non affatto inteso secondo il criterio “ en plein air” tanto invalso, fin allora, nella pittura napoletana, ma piuttosto consiste in un’immagine urbana avente una ben precisa valenza simbolica.
Infatti, questo quadro, ha una portata estetica assolutamente unica, tant’è che possiamo definirlo una sorta d’ icona laica, struttura del pensiero liberale sotteso agli indirizzi politici della nascente municipalità di Ponticelli.
In realtà, tutti questi specifici riferimenti storico-culturali possono essere considerati, opportunamente, come ricostruzione del retroterra nel quale Luigi Tammaro andava a formarsi come artista, che assolutamente corrispondeva ad un sistema ideologico,sotteso alla pittura a Ponticelli.
Ma intanto, con i dati, fin qui raggranellati, non è il momento di stabilire esattamente dove e con quale maestro, il pittore Tammaro, in età giovanile, avrà avuto modo di formarsi, o tuttoché frequentando, come partecipato osservatore, i vari “cantieri” della pittura sacra a Ponticelli,e in primo luogo la cappella di via Tierzo.
E’ significativo, in tal senso, che sia stato allievo di Luigi Piscettaro, un pittore dell’’Ottocento, simbolo dell’arte a Ponticelli, e difatti secondo l’ideologia di questo maestro, egli ha privilegiato, fin dall’inizio, il principio d’organicità dell’opera d’arte.
Per l’appunto, come sub-strato di cultura della pittura locale è stato il principio di verità, ovverosia il “realismo” che adombrava la concezione liberale allora molto partecipata E peraltro ne aveva implicato un ribaltamento del rapporto Stato-cittadino; certo, sostanzialmente, non vigeva più il potere paterno per la felicità dei sudditi, ma al contrario, si determinarono libere ed autonome scelte dei cittadini, che erano arbitri del proprio governo e giudici della propria felicità ( 9 ).
Tutto sommato, proprio la risposta che riguarda la formazione Luigi Tammaro, consisté nel fatto che la costante ricerca di un cosiddetto verismo sociale, avrà avuto,sotto vari aspetti, come diretto riferimento il pittore Luigi Piscettaro , il quale fu il primo, a Ponticelli, ad essere l’ “inventore” di una pittura il cui dato visivo viene rielaborato e reso socialmente organico .
Eppure, questo balzo in avanti del nostro quartiere e l’evoluzione della stratificazione socio-culturale consisté nell’abbandono delle vecchie attività agricole, per tradursi in un altro sistema plurattivo, attraverso nuove o tradizionali applicazioni manifatturiere.
Per niente, queste forze produttive si possano raggruppare in due specie: una con radice molti secoli primi e particolarmente funzionale all’economia contadina ( quali i mastri sellai, gli abilissimi maniscalchi e i cosiddetti “mannesi” ) d’altro canto, la seconda forma di attività artigianale, diversificata e assai rispondente alla sempre crescente richiesta di manufatti di prima necessità e addetti ad espletare commesse che arrivavano dall’intera area vesuviana.
Infine vanno aggiunto – pur se qui ci può limitare ad un fugace accenno – i nuovi opifici impiantati a Ponticelli,tra i quali la cosiddetta “fabbrica dello spirito” in via Argine, e quella a viale Margherita dei “due mulini”
( ancora oggi viene così denominata ) e consisté in una fiorente attività di produzione della pasta, venendo poi trasformata in una, pur limitata, industria di conserve alimentari.
E ancora un’ultima considerazione occorre qui riportare che, assieme queste aziende industriali e anche alle varie aziende agricole del territorio – che pur sempre andavano ad acquistare maggior prestigio – molto fiorente era diventata l’imprenditoria edile, la quale a sua volta assorbiva tantissima altra manodopera.
Tutto sommato, infine, un’altra considerazione occorre qui riportare, che soprattutto in questo preciso momento storico, a Ponticelli, vi era in atto un processo espansivo di acculturazione elementare, che in primo luogo consentì alle minoranze popolare di accedere ai ruoli dirigenti, esercitando così per legge, il diritto al voto .
E qui cade bene il richiamo ad un’altra analisi: sotto questo profilo economico-politico, la trasformazione del gusto estetico trova subito interazione alle varie attività artigianali ( dalla falegnameria al ferro battuto, dalla sartoria maschile e femminile, all’arte del ricamo ) ingenerando così un consistente portato di talenti artistici di respiro estetico da non sottovalutare.
Inoltre, questa dinamica riguarda proprio i pittori di Ponticelli, per quelli che possiamo definire della prima generazione, e a riguardo occorre riconoscere che molti di essi erano soltanto dei curatori di lavori di coloritura e decorazione ( a calce o a colla ) di superficie murarie, interne ed esterne, ma nel contempo si rivelavano, quasi tutti, attenti possessori di tecnica pittorica.
Tutto sommato, torna utile ricordare che, proprio in quest’aura di sviluppo culturale, appunto le varie attività artistiche -dalla pittura, alla musica e alla letteratura- venivano intese tutte in coerenza al sistema sociale.
Infatti, non si può negare che proprio nel nostro quartiere, verso la fine dell’Ottocento e fin ai primi due decenni del secolo dopo, venne a determinarsi, addirittura, una sorta di “ Weltanschauung ” , ovvero, un nuovo modo di concepire la vita che, metaforicamente, è stato definito : “ il bel mondo di Ponticelli” .
E’ sta di fatto, ad ogni costo, che non si è trattato di un’ autentica “ nuova visione del mondo”, ma piuttosto di un insieme d’influenze esterne che venivano genialmente rivisitate, con miscuglio disinvolto alla cultura autoctona .
E qui va subito detto, che appunto in questo contesto, sono da ricercare le radici della formazione di Luigi Tammaro, fin quasi con l’identificazione al cosiddetto “principio di verità” quale elemento portante nella cultura figurativa dell’arte napoletana coeva.
Invero, fin dalle prime opere di questo pittore, sono già presenti tutti quei valori estetici, che troviamo nella sua ricorrente tematica: la ritrattistica, intesa come rigoroso principio di verità, presente appunto nel momento in cui si compie l’analisi del soggetto da ritrarre.
Nel senso che, per il pittore Tammaro, esercitare il genere pittorico della ritrattistica, sarà consistito in un’assoluta piena integrazione ai valori civili della cultura locale.
E per queste implicazioni storico- artistiche, che la sua attività pittorica si presenta, soprattutto, come un interessante e complesso nodo filologico per Ponticelli. Cosicché l’ ”immagine dell’uomo”, quale la nota dominante della sue opere, non consiste soltanto in un rifarsi, ai valori somatici, in senso generico ma piuttosto un’ appropriarsi di un sistema di segni denotanti il protagonista della nuova dimensione della civiltà locale.
E appunto in questa temperie storica, che l’ antica prassi del farsi ritrarre divenne una consuetudine, proprio da coloro che ricoprivano ruoli sociali particolari a Ponticelli.
Come se si volesse scrivere un capitolo della corrispettiva “storia” del personaggio ritratto e quasi subito, attraverso la lettura di queste opere, si riesce a comprendere, il trovarsi al cospetto di un complesso intreccio di dati del vissuto: quali condizionamenti socio-familiari, frutto di una cultura, propria di un determinato periodo storico, che ha interessato il quartiere Ponticelli.
Conta ancor di più rilevare, in questa monografia, riguardante l’ attività pittorica di Luigi Tammaro, le tante precise istanze culturali da far credere che, il suo retroterra, vada ben oltre il discepolato presso i pittori locali che, per la maggior parte, erano culturalmente più modesti di quanto si conosca.
E dunque, per fare emergere tutto questo retroterra, occorre così, in primis, evidenziare come Tammaro fosse documentato a riguardo dei vari fermenti che, al tempo, interessavano la pittura napoletana e che, almeno un primo momento, avrà avuto modo di vagliare, ancora giovanissimo studente presso l’Istituto d’Arte di Napoli ( 10 ).
E senza dubbio, ad un’attenta lettura dei suo primi dipinti s’ identifica, pur nei limiti, una tendenza verso quei linguaggi, propri degli artisti allora emergente a Napolii: i fratelli Palizzi , Saverio Altamura, Domenico Morelli (11 ).
E qui cade bene il richiamo ad un altro giudizio sul pittore Tammaro, che come abbiamo visto, oltre ad essere culturalmente aperto alle istanze di varie provenienze, avrà avuto perfino un certo interesse per l’arte fotografica.
Di fatto, in linea generale quest’attività, a Napoli era già in uso, almeno tempo primo, tant’è vero che, verso la metà dell’Ottocento, fu lo stesso pittore Domenico Morelli ad utilizzare la fotografia, come strumento secondario del proprio lavoro pittorico ( 12 ).
Così stando le cose, a modo suo Tammaro stabilì nientemeno stretto rapporto di scambi culturali con il primo e più antico fotografo di Ponticelli
( 13 ).
Purtroppo, di queste particolare locale attività fotografica, e considerato il carattere transitorio del prodotto, rimangano soltanto rari e frammentari materiali, che per la parte più consistente, costituisce il fondo dell’archivio storico di Ponticelli, del professore Carmine Adamo.
Tutto sommato, proprio in merito a questo corpus di materiale fotografico, emblematico è il richiamo a una delle foto più esemplare: il ritratto in bianco e nero di Luigi Tammaro, dove l’anonimo autore di questa fotografia , con spiccata sensibilità estetica, è riuscito a documentare, hic et nunc, il vivere quotidiano dell’artista. ( fig. 1 )
1 . Anonimo, foto ritratto del pittore Luigi Tammaro ( 1920 c.a ) ( Archivio “ Carmine Adamo “ )
A questo punto torna utile ricordare come Tammaro sia pervenuto ad essere un artista molto stimato a Ponticelli, attraverso l’intensa produzione di un dei generi pittorici all’epoca molto diffuso: il ritratto.
Tuttavia, sotto questo punto di vista non è affatto certo ipotizzare che egli sia stato il primo, in assoluto a praticare la ritrattistica a Ponticelli, e qui, ai fini della nostra analisi, hanno notevole importanza altri precedenti esempi della ritrattistica locale: i due busti, in stucco modellato ( autore anonimo) installati sulla facciata del palazzo Mele, di viale Margherita, e rappresentanti i capostipiti della famiglia proprietaria del fabbricato ( 14 ).
Ma, passando ad un altro precedente ritratto, torna utile ricordare quello di Giuseppe Capasso , secondo sindaco di Ponticelli dopo l’Unità d’Italia, Nientedimeno, l’autore di questo quadro, ad olio su tela, non è un pittore locale, uno che si firma “Nicola Pastore”, un artista alquanto attivo a Napoli nella seconda metà dell’Ottocento .
A ben ragione, questo singolare ritratto, ai fini del nostro studio ha grande significato, appunto perché ha dato origine ad uno specifico stilema della ritrattistica locale.
E per di più, di quest’opera, conta molto il testo di dicitura, posto sul rovescio del supporto: “ ritratto del sindaco Capasso, nato nel 1820 e ritratto nel 1873, nel mese di maggio, da D. Nicola Pastore “.
Nello specifico, come campo lessicale, basta osservare come tipologia del ritratto consisté in un intero apparato iconico; denotante appieno il soggetto, a cominciare dal contesto socio-storico, la professione esercita e soprattutto il suo stato economico .
E va pure osservato, come disamina dello specifico linguaggio formale, peculiare alla ritrattistica di Tammaro, il soggetto viene sempre rappresentato a grandezza naturale, correntemente a metà busto, in posa impettita e specialmente con una compostezza aristocratica. Lasciano trasparire, suppergiù, sentimenti d’indubbia sicurezza di se ed assoluti valori morali, denotante la classe borghese allora emergente.
Infatti, sotto questo aspetto, la nutrita seria degli attributi, tipici dell’ apparato iconografico creato da Tammaro, per il genere della ritrattistica, diventa parte imprescindibile di una complessa struttura del proprio linguaggio pittorico Ed è come se, per ciascuno dei soggetti della ritrattistica di Tammaro, venisse “scritto” un capitolo d’una “storia” personale ( Fig. 2 ).
2, Luigi Tammaro, ritratto del medico condotto, il dottore Fortunato Acanfora , olio su tela , 1891.
In questo ritratto, Tammaro, presenta il soggetto in una posa eretta e vestito con molta ricercatezza, ma soprattutto, quello che designa la professione esercitata è un preminente attributo figurativo: il libro posto sotto il braccio a sinistra, ed inoltre questo specifico volume porta inciso sulla copertina, il classico caduceo: l’immagine di una verga con due serpenti simmetricamente intrecciati quale simbolo istituzionalizzato della medicina. E nondimeno, sempre conforme a questo efficace metodo di denotare il soggetto, in questo ritratto troviamo un altro geniale accorgimento figurativo: il richiamo al dato anagrafico, attraverso l’immagine di uno spillo aureo, appuntato sul nodo della cravatta, che come un tocco di ricercata eleganza reca le iniziali (“ A F “ ), corrispettive del cognome e del nome.
.
In altri termini, è questa la riprova che Tammaro disdegnasse non solo il pedissequo principio della maniera accademica, né tanto meno la sperimentazione di più avanzate corrente estetiche (a riguardo l’Impressionismo e il Futurismo ) che fin a quell’epoca interessavano la pittura italiana ed europea.
E quanto detto fin qui, è servito a restituire, alla pittura di Tammaro, una giusta chiave di lettura, e nel contempo è il caso di citare, uno dei suoi più emblematici dipinti: il ritratto del “ massaro Acresta “, databile 1910 c.a ( Fig 3 ).
3. Luigi Tammaro, ritratto del massaro Acresta ( 1910 ) olio su tela
Quest’opera, magistralmente, presenta tanti specifici attributi che sono tutti segni visivi, di un lessico designante una delle tipiche figure dell’epoca, un membro della “aristocrazia” agricola del territorio di Ponticelli .
In tal modo, la straordinaria capacità
d’ oggettività della pittura di Tammaro, serve ancor una volta a dimostrare, come la cultura del verismo meridionale ( dalla metà del XIX secolo fin ai primi decenni del Novecento ) aveva determinato il rinnovamento artistico e il progresso civile. A partire dal linguaggio di Luigi Tammaro, attraverso una rigorosa analisi del vero, riesce a trasmettere attenti brani del vissuto.
Cosicché, in questo ritratto, il soggetto presenta il volto segnato da una fila di vistosi ed imponenti baffi e indossa un particolare abito che alludente una certa divisa militare ( la tipica uniforme dei cosiddetti“guardalagni” ) ed è, a sua volta, impreziosita da una spessa catena aurea, che diventa peculiare ostentazione del proprio censo. Principalmente comunica il singolare ruolo sociale ricoperto, che metaforicamente viene espresso da un singolare orecchino, posto al destro lobo del padiglione auricolare.
Non di meno poi, il sistema d’organicità della pittura di Tammaro, acquista ancor di più un’accentuata valenza sociale. E’ questa la fase più avanzata della sua più brillante ideazione di tipologia del ritratto, diventandone l’ideatore del cosiddetto “pendant nuziale”: un insieme di due tele a mo di dittico , con l’immagine dei due corrispettivi sposi, ed avente finalità precipua di serbare la memoria dell’ evento matrimoniale . A ben guardare, questa nuova struttura della ritrattistica, consiste esattamente in un dittico, ha una particolare finalità di fissare visivamente l’avvenuto vincolo matrimoniale ed evidentemente funzionale a un sistema sociale ad economia debole, quale quella del meridione d’Italia, in tal caso due famiglie ponevano insieme le proprie risorse economiche proteggendole dalla dispersione, talvolta attraverso il cosiddetto “matrimonio combinato”
E di fatto, questa articolata aggregazione di due tele, di identica misura, veniva soventemente collocata, attraverso una formalità quasi cerimoniale, nell’appartamento degli sposi. Con la funzione di conservare la memoria storica dell’evento nuziale, quale fondamento del sistema socio-economico borghese.
Infatti, a una lettura puntualizzata il dittico nuziale, soprattutto in ordine agli elementi visivi fondamentali dei valori comunicativi, presenta il soggetto pur sempre raffigurato a metà busto, effettivamente vestiti elegantemente, con una raffinata acconciatura e largheggiando nella ostentazione di preziosi gioielli. Puntando, quasi come un’indagine di tipo sociologico, sui modelli dell’ideologia borghese
Cosicché, per restare in quest’ambito d’analisi critica che ci siamo proposto, ci occuperemo un secondo momento dei ritratti, quelli fatti da Luigi Tammaro, ai membri della propria famiglia, lasciandosi insolitamente trasportare da tenaci sentimenti affettivi.
Il linguaggio veristico, connotante queste opere, è pur sempre sotteso alla restituzione dell’aspetto fisionomico, ma viene a tal punto caricato, da coinvolgere tutta una serie di dati contingenti, riportati con immanente retorica che, niente di meno, ha la specifica funzione di contribuire a dare maggior prestigio al suo casato .
A questo punto, è il caso di citare una di queste opere, il ritratto del cugino,il maestro di musica Ciro Tammaro , dal titolo:
“ A te Ciro”, datato 1922
5 Luigi Tammaro “ A te Ciro”, 1922
E va anche aggiunto in tutto questo, che assieme all’immagine si trova una insolita, lunga dicitura, quale testo commemorativo appositamente preparato da uno dei membri della famiglia ,dal cugino Michele, detto “
’o tabaccaro ”. e che in tal senso recita:
“ A te Ciro,
orgoglio maggiore di nostra casa
che nelle terre d’Oltremare
già nostra
per la grandezza d’Italia
offristi
con coraggio e con ardimento
la tua vita giovanile
. . . . . . ,..
In effetti, sul piano generale, questa iscrizione celebrativa, consistente in un classico rotolo aperto, attaccato a un plinto monumentale, e recante, ad ogni costo, il prestigioso stemma della casa reale dei Savoia; conta ancor di più rilevare che sul piano d’appoggio di questo basamento è stato posto un elmo di guerra, quello completare alla divisa militare, indossata dal ritratto, fin ad avere una specifica funzione denotativa; difatti l’immagine del cappello è segnato dal grafico del Reggimento d’appartenenza, fin a costituisce un dato storico ben preciso.
E ancora una considerazione, a riguardo il complesso apparato di simboli riguardante questo singolare ritratto, il paesaggio d’insieme risulta contestuale a questo criterio d’ evocazione storica oggettiva: si vuole alludere ad un accampamento militare e segnato da una sproporzionata insegna, con una vistosa targa di “ fureria “ .
Il tutto, a sua volta, rimanda a un dato di rilievo del servizio militare svolto da Ciro, quale furiere, come addetto agli aspetti amministrativi del suo reparto militare d’appartenenza.
L.Tammaro –Arco di trionfo –particolare di destra.
E conta ancor di più rilevare che in tutto questo consiste la singolarità dei dipinti sacri di Luigi Tammaro. Così occorre richiamare le finalità anche soprattutto pittoriche che riscontriamo in altre opere seguente , nello specifico i dipinti i commissionati della Congrega di Sant’Anna di Ponticelli
Nella cappella, di questo sodalizio, sulla volta e in asse al presbiterio, Tammaro ha eseguito un singolare dipinto, a tempera su muro, che consiste in una geniale interpretazione di uno dei più noti temi dell’ iconografia della Vergine
Infine, quanto detto fin qui, restituisce a Tammaro una giusta valenza storico-culturale, e purtroppo, la letteratura critica riguardante la sua pittura è alquanto scarna.
E un primo orientamento analitico relativo al suo ruolo nell’arte a Ponticelli ci viene offerto dai ricordi e relative documentazioni, con sagacia attenzione sono state messe insieme dal prof Carmine Adamo eppure dal prof architetto Nicola Franciosa, essendo stati questi i primi estimatori del pitture Tammaro, dedicandosi varie volte ad interventi di recupero di materiali storici e tentativi di catalogazione dell’opera omnia del Nostro.